Testi critici

Recensioni, articoli e pubblicazioni su cataloghi

"Arte e Illusione da Arcimboldo a Dalì e i contemporanei", di Arpigné Sevagian, Numero 0. Scritti d'Arte e dintorni, ed. Studio d'Arte e dintorni (2020)                                                                                              LEGGI il TESTO

ARTINGOUT, catalogo d'Arte Contemporanea Permanente. Consulenza per investimenti in Arte Contemporanea. Artisti e opere selezionati. Quotazione con coefficiente.

Biografia di Silvia Abbiezzi, Marco Baranello, Redazione Artingout.com (2015).                                    LEGGI il TESTO 

Note ed informazioni sull'Opera d'Arte di Silvia Abbiezzi: Tacér 2006, a cura di Artingout, 2015         

"Fra tradizione e innovazione: Artisti italiani da non dimenticare", vol. III. di Rosario Pinto, Ed. Diaconia, 2015                                                                                                                                                                                                              LEGGI il TESTO

"IL CORPO CUCITO ovvero SUTURE", Silvia Abbiezzi si presenta da sé, 2012                                             LEGGI IL TESTO

CATALOGO DELL'ARTE MODERNA: gli artisti italiani dai primi del Novecento ad oggi. 

CAM 44, CAM 45, CAM 46, CAM 47, CAM 48, CAM 49, CAM 50, CAM 51, CAM 52, CAM 53, CAM 54, CAM 55, CAM 56... (dal 2008 al 2021)                                                                                                                                  VAI alla SEZIONE

"Fra tradizione e innovazione: Artisti italiani da non dimenticare" vol. II. di Rosario Pinto, Ed. Napoli Nostra (2011)                                                                                                                                                                      LEGGI il TESTO                                                                                                                                                                 VAI alla PUBBLICAZIONE

"Silvia Abbiezzi: Dalla raccolta alla semina", testo di Matteo Galbiati, 2009                                      LEGGI il TESTO

Dalla presentazione della mostra "Arte in verde: orto d'artista", a cura di Ornella Piluso, Parco Nord, Milano.

Silvia Abbiezzi, presentazione di Pablo De Leo, 2009                                                                                             LEGGI il TESTO

Silvia Abbiezzi, presentazione di Riccardo Infante 2008

Silvia Abbiezzi è nata nel '66 a Milano dove vive e lavora. Diplomata all'Accademia di Brera, ha insegnato "figura disegnata" in un Liceo Artistico della sua città, esposto in Italia e all'estero ed è stata premiata in concorsi nazionali e internazionali.

La sua opera si distingue per una marcata tendenza alla sperimentazione mai gratuito che si esprime attraverso l'impiego di tecniche e materiali di vario genere: lastre radiografiche, frammenti di stoffa e plastica, gommapiuma, filo di sutura, oggetti di recupero... Sulle sue tele campeggiano corpi femminili destrutturati eppure integri e riconoscibili nella loro iconicità che trae spunto da culture differenti.

Lo sguardo di quest'artista, dall'acuta capacità analitica, è rivolto spesso allo studio della 'disgregazione' dell'immagine femminile, tipica della comunicazione commerciale e non. In un'epoca in cui l'artificiale prevale sul naturale, la rappresentazione del femmineo rigetta la retorica del corpo-merce, è pura analisi introspettiva, occhio che scava nel profondo.

Tema ricorrente è quello della "bocca cucita", simbolo di una comunicazione che ha perso la sua funzione riducendosi a vuota chiacchiera: specchio di una società in cui il neolinguaggio livella il fondamentale e l'insignificante, il valore e l'effimero.

Le tematiche ambientali sono affrontate con lo spiccato spirito critico che la contraddistingue. L'osservazione del paesaggio urbano e la denuncia del'irreversibile deterioramento dell'ambiente e dell'atmosfera l'hanno portata a vincere il 1° premio "città dell'aria" nel 2007. Nel 2008 è ospite del Museo del Lago di Verbania con un'installazione "site specific" in cui la protagonista è l'acqua, rappresentata attraverso icone evocative (reti da pesca, rifiuti di materiale plastico, il suono registrato di un piovasco, ecc.), attorno a un inconsueto altare rivestito di carta riciclata e sormontato da un numero indefinito di bottiglie di plastica blu semivuote e lumini accesi. l'insieme rimanda a un'immagine, colma d'inesprimibile pathos, di "veglia sulla natura morente", sottolineata dal rumore costante della lieve pioggia, simile a una sommessa preghiera.

La riflessione sul tema dell'energia come risorsa in via di esaurimento si traduce nell'immagine di un utopico ambiente popolato da miriadi di "pesci neon" che, nuotando in tubature trasparenti intrecciate intorno all'intero pianeta, lo illuminano. Questo ambizioso progetto si concretizza in un tubo al neon di forma circolare riciclato e ormai privo di luminosità, che lascia tralucere i "pesci neon" dipinti ad acrilico con l'ausilio di colori fosforescenti, a sottolinearne la naturale luminescenza.

Riccardo Infante, storico e filosofo, 2008

Per la mostra "Tintacce: e tintine: omaggio a Pierpaolo Pasolini", a cura di Donatella Airoldi, Galleria Quintocortile, Milano.

Silvia Abbiezzi si presenta da sé

Presentazione dell'opera "Mask" 

Più o meno uniformati, condizionati dall'integralismo religioso o dal consumismo, siamo tutti vittime di una società che non accetta l'individuo con la sua interiorità e la sua singolare personalità.

Pasolini ha analizzato comportamenti e valori tipici della civiltà dei consumi denunciando un progressivo e irreversibile processo di omologazione. Il poeta vede nello "sviluppo" della società contemporanea il rischio di un totale annullamento delle differenze culturali e individuali rendendo gli esseri umani identici fra loro e corrispondenti ai modelli proposti e mitizzati dai mass media: valori creati artificiosamente.

"Mask"è il ritratto di una donna grossolanamente truccata nel tentativo di rendere la propria immagine conforme a un modello socialmente accettabile. Il fondo nero allude a uno shador. Questa contrapposizione non è una denuncia verso la società islamica ma pone una domanda: qual è in realtà la scelta più libera, il velo o la maschera?

Silvia Abbiezzi, novembre 2008

Breve presentazione dell'intervento "site specific" di Silvia Abbiezzi, presso il Museo del Lago, Verbania, 2008

Al centro del locale biblioteca, su un tavolo rivestito di carta argentata riciclata, ho installato settanta bottiglie di plastica blu contenenti acqua di lago, alternate a lumini accesi.

A lato di questo insolito altare, foto stampate su plexiglass retro-illuminate appaiono come icone commemorative, sospese fra gli scaffali.

Nella penombra, la suggestiva immagine di veglia alla natura morente si contrappone alla scena che sullo sfondo ritrae alcune lavandaie in riva al lago (già parte integrante del Museo).

Nella parete opposta una grande rete da pesca, ancorata lateralmente a due tele monocrome, raccoglie rifiuti che, nascondendo piccole fonti di luce simili a pesci neon, proiettano ombre colorate (in riferimento al Pacific Trash Vortex, l'isola del Pacifico formata da plastica e altri rifiuti).

Il rumore costante della pioggia, come una preghiera sottovoce, accompagna la videoinstallazione "con acqua diminuire la velocità" che in una nicchia mostra immagini luminose fotografate viaggiando in macchina durante un acquazzone: un invito a non sfidare la natura.

Silvia Abbiezzi 2008

Dal catalogo della mostra "Tempo per guardare le stelle", a cura di Vanda Sabatino, Villa Glisenti - Villa Carcina (BS)

Recensione dell'opera "Maiè", 2006

Silvia Abbiezzi si esprime con dei Combine. Materiali diversi accostati in quadri-scultura apparentemente in modo casuale, per creare sorpresa: in realtà il loro utilizzo è significante.

Maiè è una parola in lingua Wolof (Senegal) e tradotta in italiano significa dono.

L'opera si riferisce alla donazione di organi. Beneficiario della donazione è un uomo di colore la cui immagine è stampata su tela in bianco e nero. La parte "donata", gli occhi, è volutamente ingigantita e sovrapposta al resto del volto attraverso "cuciture" nere. Il concetto di donazione è sottolineato dall'imbottitura degli occhi attraverso l'inserimento di uno spessore in gommapiuma che li rende sporgenti e dalle suture che li legano al resto della tela e suggeriscono l'idea dell'intervento chirurgico.

"Maiè" è un dono senza frontiere che permette al donatore di non morire completamente e, a chi lo riceve, di vivere meglio o più a lungo.

L'opera è dedicata a Paola, un'amica dell'artista scomparsa prematuramente.

Vanda Sabatino - curatrice - Brescia 2006


"Magico Padiglione Italia", Garage N°3 Gallery, Venezia Mestre e Virtual Museum, Borgo Valsugana (TN)

Recensioni dell'opera "Tacér", 2005

Un'opera che si addice molto ai nostri tempi che hanno favorito il parlare a tutti i costi al di là della riflessione e dove il neo linguaggio ha equiparato il fondamentale al complementare.

Giancarlo Da Lio (filosofo e critico d'arte), Venezia, agosto 2005

Grazie per ricordarci quello che in quest'epoca abbiamo dimenticato. Usare non sempre accompagna l'avverbio proficuamente.

Giancarlo Da Lio (filosofo e critico d'arte), Venezia, agosto 2005


Da: CRONACHE 2005 - artiste nel mondo

Per la mostra "S-vestiti", a cura di Donatella Airoldi, presentazione di Roberto Borghi, Galleria Quintocortile, Milano

Recensione dell'opera "Clessidra", 2005

(...) I seni del quadro di Silvia Abbiezzi, modellati e dipinti con una tecnica mista (colore e imbottitura) sono tanto belli da sembrare veri, viene voglia di toccarli. Vediamo solo il tronco di un corpo che immaginiamo stupendo, ma è un corpo cucito - ago, filo, ganci - come un modello di perfetta sartoria. Immersa nella visione del quadro, affiorano alla mente due immagini: la chirurgia estetica e i corpi sfigurati dalle guerre, sbranati dalle mine, ricuciti per pietà.

Eleonora Cirant, 2005

Per la mostra "La città a fior di pelle", Circolo culturale Bertolt Brecht, Milano

Una città cambia a seconda del punto da cui la si guarda: dal basso, o dall'alto. A seconda che si dia conto di come la si vive, o di come la si sogna. (...)

Chi sta con i piedi dentro le città, con gli occhi incollati sui suoi muri e appesi ai suoi cieli, spesso utilizza la fotografia per dare ragione di queste visioni.

(...) così è per Silvia Abbiezzi, che suggerisce con le sue foto documentaristiche un confronto tra Oriente e Occidente, tra l'orizzontalità dell'acqua e la verticalità dei palazzi. (...)

Cinzia Bollino Bossi 2003

Presentazione della mostra personale di Silvia Abbiezzi, a cura di Eva Comploj, Cafè Andi, Santa Cristina di Val Gardena (BZ), 2001.

Silvia Abbiezzi si presenta da sé

La radice della mia pittura è l'immagine figurativa, disegnata in modo razionale attraverso una serie di rigide costruzioni. L'intervento cromatico, che avviene in un secondo tempo, è certamente più istintivo e gestuale anche se molto controllato e pensato. Credo che il disegno sia uno strumento per conoscere la realtà e il colore un mezzo per esprimerla.

Questi due aspetti non sono completamente distaccati né consequenziali anzi s'intersecano e si sovrappongono nel tentativo di raggiungere un equilibrio.

Vorrei esprimere i sentimenti umani, quelli più profondi e più primitivi ed è attraverso il ritratto che cerco di raggiungere quest'obiettivo. Le espressioni del volto manifestano i sentimenti interiori più di qualsiasi azione e le più autentiche sono quelle dei bambini, dei vecchi, dei disadattati, dei pazzi e di tutte quelle persone che vivono senza speranze perché non mascherano i loro sentimenti.

Chi guarda i miei quadri non deve vedere un semplice ritratto ma un movimento di linee che cattura l'occhio e lo spinge in un percorso senza fine; solo l'osservatore quindi può completare l'opera che ho incominciato. La realtà non è mai immutabile, né quella della visione, né quella dei sentimenti, né quella della ragione, né quella delle cose: è il tempo che la trasforma e il tempo non si ferma mai.

Credo che in pittura, l'unico modo per rappresentare il tempo sia evocarlo attraverso il ritmo delle linee e il timbro del colore.

L'immagine vista, sentita e pensata è espressa, nelle mie opere, attraverso una stratificazione di pennellate che tendono a rompere la staticità della struttura sottostante per introdurre un dinamismo che suggerisce l'evoluzione temporale dell'immagine stessa.

Il riferimento artistico più evidente nella mia pittura è Van Gogh ma trovo stimoli anche in molti altri artisti come Boccioni, per il dinamismo, Munch, per la forza espressiva, Klimt, per l'uso del colore in alcuni paesaggi, Monet e molti altri che non cito sia per ragioni di sintesi sia perché ritengo che le influenze esterne, nell'arte, siano spesso inconsapevoli, sarebbe quindi impossibile elencarle tutte.

Silvia Abbiezzi 2001

Dal catalogo della collettiva "Zucche in carrozza", a cura del F.A.I. (Fondo Ambiente Italiano), Villa della Porta Bozzolo, Casalzuigno (VA);

Recensione dell'opera "Fuoco di zucca", 2001

"Fiammeggiante dipinto realizzato con un'ottima tecnica pittorica, che suggerisce il movimento della zucca attraverso pennellate veloci e guizzanti."

a cura del FAI, 2001

Presentazione della mostra personale di Silvia Abbiezzi, a cura di Fulvia Ciccolella - testi critici di Erich Demetz, Hotel Lago di Lugano, Bissone (Lugano).

SILVIA ABBIEZZI: espressioni estetiche meditative

Anche se eminentissimi maestri del pensiero occidentale hanno fin dalla nascita della speculazione filosofica dedicato le loro ricerche ai fenomeni legati all'estetica, solo il Rinascimento e più tardi l'Idealismo, particolarmente quello germanico di Kant e di Hegel, hanno fatto assurgere l'arte a disciplina filosofica autonoma e specialistica.

Fra i testi antichi che hanno conservato la loro immutata rilevanza attraverso le varie epoche fino ai giorni nostri, figurano certamente la Poetica di Aristotele, l'Ars Poetica di Orazio e i testi tardogrechi sul sublime nell'arte di un autore noto come Dionisio o Longinus. Si tratta eminentemente di studi filologici con riferimenti solo occasionali alle arti applicate, nell'antichità considerate semplicemente sotto il profilo della fedeltà ai modelli prodotti dalla natura.

Per arrivare ad una codificazione generale dei sistemi espressivi e ricettivi legati all'arte si dovrà attendere il 1750, anno in cui Alexander Gottlieb Baumgarten, fondatore vero e proprio della filosofia estetica, darà alla stampa suoi "Texte zur Grundlage der Asthetik", introducendo per la prima volta il concetto greco di αισδεσιζ, ossia la definizione della conoscenza attraverso i canoni specifici dell'esperienza sensitiva. "L'estetica è la filosofia dell'arte" sentenziava Baumgarten imponendo questo termine in antagonismo con "Kalistik" (dal greco Καλός > bello) suggerito anche da Hegel. Dal XVIII secolo fino ai giorni nostri si sono succeduti moltissimi eminenti filosofi che hanno animato la discussione intorno alle varie forme estetiche, primo fra tutti Kant, che nella Critica del Giudizio ha affermato la distinzione fra i concetti di bello in sé, del bello in quanto utile e del bello in quanto piacevole.

"È bello in sé ciò che disinteressatamente piace" affermava Kant, scindendo oggettivamente il concetto di bello in quanto tale da ciò che lo può sembrare solamente in quanto oggetto di desiderio. Il giudizio affetto da interesse immediato è infatti soggettivo. Questa è ovviamente una sintesi estremamente semplificata delle teorie Kantiane sulla percezione estetica. Kant ha peraltro compiuto un altro passo importante nella storia della filosofia introducendo il concetto del sublime come categoria estetica distinta da tutte le altre. Un altro maestro del pensiero ottocentesco molto importante è certamente Hegel, che quasi due secoli fa aveva proclamato la fine dell'arte, aprendo una discussione che permane tuttora. A Hegel va in ogni caso riconosciuto il merito di avere teorizzato con un secolo di anticipo il famoso quadrato nero di Malévic ovvero la possibilità di un'estetica astratta, un'arte svincolata da qualsiasi modello della nostra conoscenza empirica. Come terzo protagonista della filosofia ottocentesca va ricordato Schopenhauer, filosofo neoplatonico almeno per quanto attiene alla filosofia estetica. Schopenhauer antepone all'oggetto raffigurabile in base alla nostra conoscenza empirica il concetto dell'idea, che è a monte di ogni realtà immediatamente percepita attraverso i sensi.

Può sembrare pretenzioso rifarsi alla filosofia ottocentesca dell'estetica per presentare una mostra d'arte nel 2000, ma così non è, anzi. Io penso che più ancora che in tempi passati i modelli estetici, in quanto oggetti d'arte, siano recepibili solo se intesi come riflessione di un lungo percorso ideale che ha le sue radici profonde nella filosofia - per quanto attiene all'arte moderna - nella filosofia idealistica. Quest'ultima ha prodotto attraverso una dialettica feconda e ricca di conflittualità la supremazia dell'arte occidentale influenzando e - in chiave negativa - inquinando il mondo intero. È però un dato di fatto incontestabile che a partire dal '900 il rapporto fra la filosofia speculativa e l'arte in quanto "filosofia applicata" - la definizione è di Adorno - è mutato e invertito rispetto all'Ottocento: mentre Kant, Hegel e Schopenhauer possono essere considerati i profeti dell'arte moderna, i loro epigoni, da Martin Heidegger a Arthur Coleman Danto, da Friedrich Nietsche a Jean Francois Lyotard possono invece essere considerati solamente come cronisti retrospettivi dei fenomeni che l'arte ha prodotto dalle avanguardie storiche ai giorni nostri. Fra questi ne emerge tuttavia un nuovo dibattito sull'arte, prospettando nuovi sviluppi, tuttora in via di attente analisi da parte di artisti di tutto il mondo e da parte dei critici più avveduti. Mi riferisco a Jean Francois Lyotard e al termine "Postmoderno".

"Più si allarga sul piano internazionale la discussione intorno al postmoderno e più complessa si presenta la questione intorno al postmoderno", così scriveva lo stesso Lyotard nel 1984 al filosofo Samuel Cassin. A un altro filosofo, Thomas E. Carrol, scriveva che l'artista postmoderno è tale in quanto non riflette alcuna delle categorie tradizionali e nello stesso tempo tutte insieme. E con questa considerazione possiamo passare all'analisi dell'opera presentata in questa mostra da Silvia Abbiezzi, opera che ho preventivamente potuto studiare attraverso le stampe che mi sono state inviate tramite internet. Alla base della sua raffigurazione sta una capacità di sintesi tecnica assolutamente fuori dal comune, tanto più se si considera che è rimasta inattiva per diversi anni. Ma un giudizio puramente tecnico sarebbe troppo accademico e magari anche superficiale, la tecnica non è più un criterio di valutazione oggettiva dell'opera d'arte contemporanea: la capacità tecnica è sottintesa, perlomeno nei soggetti che affrontano con serietà il mondo dell'arte. La questione va dunque posta in termini più propri al dibattito artistico ossia in quale contesto filosofico possa essere vista e collocata la pittura di Silvia Abbiezzi. Con riferimento alla filosofia di Lyotard cercherò di tradurre un breve brano tratto da un testo pubblicato dal filosofo francese nel 1984. "Il postmoderno sarebbe ciò che nella rappresentazione moderna allude al non rappresentabile, ciò che si nega alla mera consolazione delle buone forme, al consenso di un gusto qualsiasi e che rende possibile la nostalgia dell'impossibile. (...) Un artista postmoderno è nella stessa condizione del filosofo: il testo che scrive, l'opera che crea non è soggetta a regole fisse e non può essere giudicata in base a parametri predeterminati di giudizio che si richiamino alle sole categorie di rappresentazione a noi note". L'originalità della pittura di Silvia Abbiezzi sta proprio in questo: di non essere soggetta a richiami di facili modernismi ma, nella determinazione di rappresentare una verità tutta sua diventa creatrice di una realtà che nessun altro artista potrebbe rappresentare allo stesso modo. (...)

Erich Demetz (artista e critico d'arte), Laion, 5 giugno 2000


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